Da
tempo volevo scrivere su questo argomento, credo da quasi un anno... Un
tempo lungo, dilatato, durante il quale grazie agli incontri con i
genitori conosciuti nei laboratori e sopratutto nelle consulenze ho
potuto osservare e riflettere su alcune cose. Stasera dopo tanto tempo
scrivo su questo mio amato "diario" del babywearing, ne voglio parlare
con voi. Per me è terapeutico.
All'inizio
dell'era "Bubamara consulente" ero molto concentrata sull'aspetto
tecnico di questa nuova professionalità, acquisita dopo il percorso con
la Scuola del Portare. Ero molto presa dalla tecnica, dal
trasmettere in maniera sicura le legature imparate in formazione. Man mano mi
scoprivo sempre più sicura dei movimenti, dei passaggi salienti da
mostrare ai genitori, ma sapevo che c'era dell'altro...
Il
mio lavoro non è, d'altronde, solo insegnare una buona tecnica. Del
resto ci sono tante mamme bravissime lì fuori che legano in maniera
impeccabile con la fascia, e che magari sono anche molto dotate nel comunicare questa competenza.
Una parte fondamentale del mio lavoro, forse la parte più importante, è quella di trasmettere sicurezza ai genitori che incontro. Ci sono mamme e papà più disinvolti, che mostrano maggior confidenza nei confronti delle fasce, ci sono anche genitori che hanno bisogno di tempo, più tempo, per gestire tessuti e legature con il loro bambino.
E' assolutamente normale esitare un po' le prime volte, andare piano, cauti, quasi come se si toccasse il proprio piccolo come se fosse la prima volta... Mani che tremano, occhi in ogni momento fissi sul cucciolo, dita che si impigliano nella stoffa, braccia e polsi che si muovono timidi, teneramente goffi... Succede. E' giusto che succeda, ed è anche bello. E' il sapore delle prime volte, delle scoperte, è l'addentrarsi in territori mai visti prima di allora, è il fare semplicemente una nuova esperienza.
In quest' epoca dove non è raro ostentare disincanto e sicurezza in
tutto quello che facciamo, ci scopriamo incerti, traballanti eppur
curiosi, come un bambino che impara ad andare in bicicletta, che pedalando
ha paura di perdere l'equilibrio ma è anche eccitato dal vento che gli
soffia in faccia e dalla velocità che scopre provenire dalle sue stesse
gambe. La libertà! Quel gusto di sentirsi bravi, la soddisfazione di riuscirci tra l'ebbrezza delle scariche di adrenalina del "nuovo"!
Credo che infondere sicurezza sia molto importante quando si apprende una nuova pratica. Noi occidentali siamo avvezzi ad imparare concetti, nozioni apprese attraverso testi sempre più complessi man mano che si attraversa l'iter scolastico,
non siamo abituati ad apprendere pratiche. Quando ci cimentiamo con
l'apprendimento di una nuova pratica, può succedere che andiamo in
crisi. Ci carichiamo spesso di aspettative, e crediamo che una volta
"vista" la spiegazione, quella nuova procedura già entri come per magia
in noi, al primo colpo, quasi per osmosi. Un po' come se stessimo ascoltando una lezione a scuola, l'insegnante spiega, noi ascoltiamo e capiamo, poi ricordiamo... La nozione, il concetto, è in noi.
Invece poniamo il caso che vogliamo imparare a "fare" qualcosa. Non basta che qualcuno ce lo spieghi, o che ce lo mostri, a dire il vero a volte può bastare, vi sono individui particolarmente dotati che semplicemente vedendo fare qualcosa sanno riprodurla subito in maniera corretta, ma non è la norma. Per imparare a fare qualcosa bisogna semplicemente... Farla. E rifarla. E rifarla ancora e ancora.
Non si tratta di memorizzare concetti ma schemi motori, che vanno
rafforzati proprio eseguendoli! Insomma si tratta di due canali
diversi... Noi vorremmo imparare una pratica non mettendola in atto,
ripetendola, ma semplicemente guardandola, un po' come attraverso lo schermo di tablet. Non so voi ma per me questa cosa è un potente spunto di riflessione.
In questo "training" o apprendistato che dir si voglia la Consulente del Portare riveste un ruolo di sostegno, supporto, e di promozione all'acquisizione sia delle tecniche di legatura che delle competenze riguardo il "sapere di saper fare". Osserva i genitori che si misurano con il tessuto, con i movimenti, con la presa del bambino, e incoraggia laddove nota delle esitazioni, corregge dove vede dettagli migliorabili, con l'obiettivo di fornire alle mamme e ai papà gli strumenti per poter camminare da soli. Nell'ottica di aiutare a restituire al portare quel carattere squisitamente popolare e democratico che aveva un tempo...
E i bambini? Dove si collocano in tutto questo? Sono semplicemente spettatori e fruitori "passivi" di quest apprendimento messo in atto in primis dai genitori? La risposta è no! Erroneamente potremmo pensare che siamo solo noi mamme e papà a metterci in gioco con questa "novità" della fascia, visto che siamo noi a cimentarci in prima persona con orli e drappeggi, ma anche loro si relazionano con questa nuova pratica e imparano di fatto a "stare" in fascia.
Imparare a riconoscere il tipo di abbraccio, diverso, a sentire i
confini di quella stoffa che contiene e anche lascia andare, imparare a
lasciarsi andare, per ritrovare qualcosa di familiare, antico, eppure diverso... I nostri piccoli partecipano in maniera attiva, così come al momento della loro venuta al mondo essi sono eccezionali co-protagonisti!
Anche i bimbi meritano sostegno, supporto in questo processo. Osservarli, ascoltarli, non possiamo non tener
conto di quanto vogliano comunicare... L'irrigidimento, il pianto,
possono avere funzione molto diversa, possono comunicarci un disagio, o
magari (perchè non sempre il pianto di un bambino ha significato
negativo!) sono il segnale che il bebè si stia scaricando da delle tensioni accumulate per arrivare al sonno. Ci sono bambini che già alla prima prova della fascia si addormentano
sereni, neanche il tempo di finire la legatura! (la "sleepy dust" di
cui sono intrise le fasce) Ci sono piccoli che invece iniziano ad
agitarsi appena sentono che il tessuto della fascia inizia appena appena
a coprirli. E'
comprensibile a questo punto che il genitore si spaventi e chieda se al
bambino può non piacere la fascia, e se può toglierlo subito dalla
legatura... E' comprensibile, ed è un messaggio che abbiamo il dovere di ascoltare, dandovi la meritata attenzione.
Ogni
genitore risponde al pianto del suo cucciolo come meglio crede. Se ci
sono io in quel momento, suggerisco di fare una piccola magia, provare a fermare il tempo.
Non completiamo la legatura ma ci fermiamo laddove eravamo arrivati,
mantenendo in sicurezza chiaramente il nostro piccolo; lo cingiamo
teneramente e saldamente con le nostre braccia, e facciamo altro... Due
passi nella stanza, accenniamo una ninna nanna, parliamo di dove andare
in vacanza o del Napoli calcio, ci scambiamo consigli su dove andare a mangiare una buona pizza, insomma blocchiamo l'azione per smorzare eventuali tensioni, proviamo a sorridere, rilassandoci, e solitamente a cuor leggero riusciamo poi a chiudere la legatura in maniera tranquilla e serena. Ci siamo presi semplicemente del tempo (quanto? Cinque, dieci minuti... La magia non si serve dell'orologio!!) per sentire addosso il corpo del nostro figlioletto, e a lui per sentire il nostro, i respiri, i battiti, e la fascia che contiene entrambi, una seconda pelle che richiede una certa conoscenza!
Forse in quest'epoca siamo un po' tutti abituati al "tutto e subito", ci aspettiamo delle cose e viviamo piccole grandi frustrazioni perchè magari immaginavamo risultati veloci e positivi, immediati. Fin dalla tenera età aspiriamo ad essere produttivi, efficienti, tendiamo alla massima resa possibilmente con moderato dispendio di energie e mezzi.
I figli insegnano a rallentare, a prendere e prendersi del tempo, e insegnano anche che l'efficienza delle macchine è impossibile e sbagliata da ottenere, una chimera post moderna dal volto terribile, disumano. I figli ci insegnano a sbagliare, a non pretendere la perfezione, e ci fanno capire il valore della compassione, del
perdono e dell'empatia. Ci insegnano ad essere più umani, dopo tutto. A
respirare. Quando metteremo per la prima volta in fascia il nostro bambino (e ogni volta è sempre un po' la prima volta), ricordiamocelo.
E vogliamoci bene, noi stessi e quelle creaturine. L'essenziale è tutto lì.
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